Difficili da riciclare, poco funzionali, fastidiose sulla pelle e quasi sempre rimosse prima dell’ utilizzo. Le etichette cucite all’interno dei capi di abbigliamento, sono negli anni diventate grandi quanto piccoli manuali tascabili, tradotte in più lingue e complete di istruzioni talvolta illeggibili e non prese in considerazione dal cliente, che preferisce disfarsene ancora prima di indossare il capo. Esse sono arrivate a rappresentare un sinonimo di spreco a livello di sostenibilità, in quanto realizzate nella maggior parte dei casi in poliestere e inchiostro e quindi non riciclabili. Nell’ultimo periodo più aziende si sono adoperate nel trovare vie alternative, tenendo in considerazione la crescente pressione da parte del cliente circa le tematiche di trasparenza e sostenibilità.

La casa di moda francese PATOU, rilanciata nel 2019 da Guillaume Henry, vede il suo costante impegno nel campo della sostenibilità anche con la creazione di QR code come manuali digitali di ogni singolo capo: una volta scannerizzato, il codice dirige il cliente verso una pagina identificativa, il passaporto digitale del prodotto acquistato, completa di tutte le specifiche e curiosità, dalla produzione alla consegna. L’idea del QR code è quella di poter essere stampato su un’unica etichetta in tessuto riciclabile e sostenibile, oppure applicato direttamente sul capo, in base allo stile e ai materiali. In questo modo tutte le informazioni sarebbero contenute in un portale digitale accessibile in qualsiasi momento tramite un unico click.

Tra i tanti brand anche Coach crede nella transizione alle etichette digitali. Joon Silverstein, vicepresidente senior di Coach per il marketing e la sostenibilità globali e del Nord America, descrive il progetto come un investimento in capacità che consentiranno un futuro più circolare.

“Dobbiamo riunire tutti quei flussi di dati, che oggi sono spesso frammentati tra i sistemi della catena di approvvigionamento, i sistemi informativi sui prodotti e i sistemi dei partner, per confluire e integrarsi in un unico passaporto digitale”, ha affermato Silverstein. “Questa è una delle sfide chiave per i marchi nell’implementazione degli ID digitali”.

Coach non ha ancora lanciato i suoi ID digitali, ma Silverstein ha affermato che offrirà informazioni sull’origine e l’impatto dei materiali, nonché un modo per tracciare i prodotti e dimostrare l’autenticità sul mercato secondario. Inoltre il brand sta anche esaminando l’utilizzo degli ID per offrire uno storytelling sulle persone e i processi di lavorazione dietro i suoi prodotti.

Ma i digital labels al momento presentano ancora alcuni aspetti di barriera che ne rallentano il processo di transizione: l’abbandono delle etichette stampate ad esempio rappresenterebbe per il cliente uno step aggiuntivo per ottenere informazioni sul capo da acquistare.

Nonostante ciò i benefici delle etichette digitali supererebbero di gran lunga il possibile rifiuto iniziale della scannerizzazione di un codice QR: tramite il passaporto digitale è infatti anche possibile fornire istruzioni circa la riparazione e le corrette tecniche di riciclo del singolo capo, oltre all’aggiunta di informazioni più dettagliate su possibili allergeni o elementi chimici.

Perfino le aziende lungo la supplychain ne trarrebbero vantaggio. Ritagliare e applicare la giusta etichettatura, rallenterebbe l’intero processo, mentre tramite l’uso del QR code ciò non sarebbe più necessario. E mentre sempre più aziende dicono addio alle tradizionali etichette in poliestere per abbracciarne la versione 2.0, il mondo della moda compie un altro piccolo passo in avanti. Il viaggio verso un futuro consapevole riparte, questa volta dalle etichette.